La Musa del Poeta Narciso

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Casmaran
CAT_IMG Posted on 8/3/2011, 01:12




SPOILER (click to view)
Vi posto un articolo che pubblicai qualche anno fa su una rivista letteraria online...magari a qualcuno può interessare.

La Musa del Poeta Narciso

Noi poeti che tanto ci decantiamo e compiacciamo, spesso in
modo erudito e umile, a volte in modo risibile e sguaiato,
esaltando le nostre sensibilità eccezionali e rare che ai più
sono ovviamente incomprensibili e sfuggenti – noi, ‘creatori
di mondi superiori, supplici creature pregne d’eterno’, ci
interroghiamo mai sul perché la poesia nel nostro tempo ha
una certa fama pregiudicata ? E consequenziale il poeta,
enigmista, vate di un linguaggio artefatto e pleonastico
avvertito come costruito e vanaglorioso ?

Perché ?

E’ così certamente che la poesia viene avvertita, e non c’è
scusa o spiegazione che non risulti noiosa e accademica agli
‘altri’, quando invece la poesia dovrebbe essere un’esperienza
intensa e meravigliosa, come le cose più semplici e
irripetibili, e misteriose.
La poesia un tempo aveva un dono prezioso: racchiudeva nel
vate la magnifica qualità di ‘saper dire’, esattamente come
avvertivano tutti, le ansie e i pensieri del suo tempo, e
diventava simbolo, diventava ‘significante’ proprio perché in
una frase riusciva a racchiudere l’identità fulgente che poteva
far sentire unito un popolo. Il poeta non era, dunque, più
sensibile - non solo, almeno - , bensì più capace di usare con
sapienza tecnica ed empatica l’arte della parola, per dire ciò
che tutti sentivano, ma nessuno sapeva dire così.
Ma vogliamo dare alla poesia solo questa valenza sociale,
storica, nazionalistica, quasi scientifica? Aborriamo, noi,
liricamente misantropici, ormai traditi dalla civiltà moderna,
chiusi nelle nostre speculazioni rare ed elevate, una
‘scientificazione’ della nostra poesia: una poesia innamorata
spesso dell’abbandono e dell’eccesso come qualità distintive.
Sicuramente la dimensione lirica della poesia oggi ha quel
non so che di amante tradito, di ragazzino deriso e messo da
parte, e allora il poeta diventa aristocratico, che non deve
spiegarsi, che non può essere capito, che la gente tanto pensa
alle suonerie del telefonino e ai reality, e a cose che a solo
pronunziarle insozzerebbero le sue eteree labbra umidicce
d’ambrosia.
E quindi il poeta se ne torna in camera sua, dove si
consolerà delle sue parole che descrivono questo sconforto, e
forse troverà anche qualche raro spirito come il suo, e in due
si scambieranno questa amarezza divina e schiacciante,
confrontandosi nella costruzione del personaggio più
artisticamente credibile.

Mentre la poesia muore.

Muore quando vedo, in quella stessa televisione delle veline e
delle missitalia e dei sarannofamosi, il poeta, che mi arriva al
talk show notturno popolare, messo alla berlina come uno
dei tanti fenomeni da baraccone da seconda serata, che
goffamente destreggia versi post-moderni aritmici e atoni,
atoni come la risposta del pubblico che gli sorride.
E poi la pubblicità.
Muore quando vedo una non meglio definita ‘poetessa’
omaggiare per un paio di minuti un qualche programma
solo per enfatizzare il suo sdegno, andando a dire che i testi
di Lucio Battisti non sono poesia, anzi sono immondi,
attirandosi le antipatie popolari con una maschera erudita un
po’ acida e intollerante, alimentando un circolo vizioso. E
intanto i versi dei poeti contemporanei sono come un
pendolo che vibra muto tra la sponda dell’esercizio di stile
destinato a pochi illuminati, e quella del pensierino di una
banalità disarmante e vuota, libero da ogni vincolo metrico
per ragioni blande e per nascondere l’inconsistenza di un
amore per la poesia.

E quindi ?

La poesia è grandiosa, come la musica – perché di musica
rimane figlia, come sapevano i Greci e ricordava Verlaine –
non solo quando interpreta la voce di un’epoca o di una
nazione, ma anche quando è davvero fine a se stessa, quando
la poesia è amore – e non voglio dire poesia d’amore, o
scadere in sentimentalismi demenziali – amore come slancio,
come estro, come passione incondizionata per le emozioni,
per la scoperta, per la curiosità, per l’entusiasmo o per la
disperazione; fine a se stessa come un bassorilievo pregevole,
come una contrappunto elegante, per quanto possa avere
connotazioni di ogni tipo, sociali o filosofiche che siano, non
sono queste cose certamente a renderla poesia.
E la metrica, come nella musica, non è tecnica per escludere
chi non ne ha capacità, ma presupposto essenziale, senso di
musicalità a volte anche incosciente, per identificare ciò di cui
stiamo parlando.

‘E tutto il resto è letteratura.’ (P.Verlaine)
 
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